Gavino Contini
A una limba mala ruza e rude
li rispondo cun tonu mansuetu
Ognunu a sos errores est suggettu
tantu in bezzesa che in gioventude
ca ue fiorit bella una virtude
bi naschet pro natura unu difettu
Non pianghedas nerzende ite dolu
Ca si deo so goi non so solu.
Gavino Luciano Contini nasceva il 12 dicembre del 1855 da genitori poveri. Come la maggior parte dei giovani del suo tempo, lavorava sodo come pastorello e alle dipendenze dei benestanti del paese fino all’età di vent’anni, quando si arruolò nelle Guardie Regie. Mostrava sin da piccolo una spiccata tendenza per l’improvvisazione poetica che perfezionava in occasione d’incontri con altri poeti del paese o dei paesi vicini. Il soggiorno a Roma e in altre importanti località del continente gli offriva la possibilità di arricchirsi culturalmente e di affinare il suo stile di vita. Non trascurava tuttavia la poesia che considerava sempre la sua più grande passione. Passava successivamente tra gli Agenti di Custodia ed era trasferito in Sardegna, a Castiadas, dove si congedava per malattia nel 1890. Ritornava quindi a Siligo e si dedicava finalmente a tempo pieno alla poesia.
Portamento distinto, cappello (sumbreri) in testa e ramoscello di assenzio nel taschino della giacca, Gavino è sempre stato un uomo di compagnia, grande conversatore e, purtroppo, anche accanito bevitore. Dava l’impressione a chi lo ascoltava di aver frequentato le scuole superiori; correva anche voce che avesse studiato in seminario, mentre in realtà non era andato oltre la terza elementare. Eccelleva nell’improvvisazione poetica e riusciva a comporre con sorprendente rapidità versi arguti e briosi che incantavano l’uditorio. La sua cristallina vena poetica costituiva un forte richiamo ovunque si recasse. Nel 1896 fu d’accordo con gli altri poeti estemporanei, e in particolare con Antonio Cubeddu di Ozieri, nel sostenere che le gare poetiche si svolgessero sul palco e che il vincitore o i primi tre poeti scelti dalla giuria ricevessero un premio in danaro in sostituzione o insieme al tradizionale trofeo (su pannu). Inoltre diede un sostanziale contributo all’evoluzione della poesia sarda da poesia di “forma” a poesia di “sostanza”. Per oltre 20 anni Gavino ha calcato i palchi di tutta la Sardegna ingaggiando memorabili duelli dai quali è emersa la sua figura di combattente indomito che lo ha reso famoso negli angoli più sperduti dell’isola. Sovente il vino gli creava dei problemi, sempre più accentuati di mano in mano che avanzava con l’età. Non gradiva però che il vizio gli venisse rinfacciato in pubblico dai colleghi e chi osava farlo incorreva nelle sue frecciate. Un comportamento del tutto diverso aveva invece coi silighesi che per questa sua debolezza lo rimproveravano a fin di bene. La sua acuta sensibilità lo portava a riconoscere che il suo “avversario” Pirastru aveva ragione quando diceva “chi su inu faghet male”. Tuttavia mentre alle insinuazioni di Pirastru rispondeva in modo aggressivo, ai rimbrotti dei silighesi reagiva restando a lungo lontano dal paese o con ottave sul tipo di questa riportata, tanto pacifica da non sembrare sua. E forse neppure lo è, o quanto meno è difficile provarlo, per il fatto che all’epoca la maggior parte delle poesie, comprese quelle composte “a tavolino”, erano memorizzate e tramandate oralmente.
Capitava così che, passando di bocca in bocca, venissero spesso modificate nella forma se non nella sostanza, e talvolta addirittura attribuite ad autore diverso. Non a caso nel corso della manifestazione è stata rilevata l’esigenza di sottoporre a revisione critica la sua vasta produzione poetica. In una società ad indirizzo agro-pastorale, con un elevato tasso di analfabetismo, il sardo prevaleva sull’italiano e la poesia continuava a vivere una tradizione orale anche dopo la scomparsa del Poeta, avvenuta il 13 luglio 1915. La sua poesia e il suo stile, lineare ed efficace, sono diventati patrimonio dell’intera isola e pietra miliare per le future generazioni di improvvisatori. Con una interruzione dal 1932 al 1939 e una ripresa a condizione che non si parlasse di religione e di politica (voluta dal regime), le gare poetiche sono restate in auge fino agli anni Quaranta, allorché con la profonda trasformazione socio-culturale postbellica è incominciato il loro inesorabile declino. Siligo non avrà più poeti improvvisatori all’altezza di questo suo figlio, ma l’insegnamento del maestro resterà sempre vivo. Non pochi silighesi comunicavano in versi con i parenti lontani e qualcuno mantiene ancora viva questa simpatica tradizione, ma essi coltivano soprattutto la poesia “a tavolino” dove possono vantare un numero elevato di poeti affermati. Con questa iniziativa l’amministrazione comunale ha inteso onorare il grande Poeta e proporlo all’attenzione dei più giovani perché continuino a valorizzare quel poco che ormai resta della lingua madre, simbolo della nostra storia culturale. E mentre i cinque poeti ribadiscono in versi che i tempi dedicati all’improvvisazione poetica della società sarda si sono progressivamente ridotti, ci rendiamo conto che un’epoca è finita e che forse abbiamo avuto il privilegio di assistere ad una delle ultime gare.